Diffamazione a Mezzo Internet
La costante evoluzione delle tecniche comunicative sui media online ha spinto l’attività di cronaca ed informazione verso limiti mai raggiunti prima, potendo adesso giungere ad una platea potenzialmente illimitata di lettori attraverso la rete e i suoi canali di comunicazione (si pensi alle ricerche possibili sul motore di ricerca Google).
Le testate online stanno di fatto sostituendo la carta stampata, divenuta ormai obsoleta per i più giovani ed economicamente poco conveniente per i produttori. La possibilità di essere sempre informati su ogni aspetto della vita politica, economica e sociale ha quindi permesso all’informazione telematica di farsi spazio e rivestire un ruolo predominante nell’industria comunicativa di massa.
La web revolution che ha colpito il settore dell’informazione ha sì esteso in modo esponenziale la diffusione dei contenuti pubblicati, ma con ciò determinando una potenziale regressione dei diritti fondamentali spettanti ai singoli nelle ipotesi in cui una notizia riporti informazioni inesatte, improprie o addirittura diffamatorie.
La diffusione incontrollata delle informazioni in rete ha pertanto reso necessario l’individuazione dei limiti entro i quali ritenere lecita l’attività giornalistica, così contemperando il diritto di cronaca -e l’interesse pubblico alla diffusione di notizie rilevanti- con il diritto alla reputazione del privato cittadino.
Non bisogna infatti dimenticare che l’agevole diffusione di contenuti giornalistici sul web non è sempre in grado di garantire un livello autorevole dei professionisti che producono i contenuti: mentre nei mezzi di comunicazione ordinari l’esercizio dell’attività giornalistica è soggetta a maggiori controlli e restrizioni, sul web la spontaneità con la quale si diffondono le notizie ne presuppone una minore attendibilità.
Questi presupposti hanno spinto il Legislatore ad adottare delle norma che fossero suscettibili di interpretazioni estensive, non potendo rinchiudere dentro un numerus clausus l’esercizio di attività fondamentali quali l’informazione giornalistica: l’imprevedibilità del progresso tecnologico ha spinto lo stesso Costituente a formulare l’art. 21 Cost. attraverso categorie generali, riconoscendo a tutti i consociati il diritto di manifestare il proprio pensiero “con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
Il reato di Diffamazione a mezzo internet
Il terzo comma dell’art. 595 c.p. punisce chiunque offenda l’altrui reputazione “col mezzo della stampa o qualsiasi altro mezzo di pubblicità” con la pena della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.
La clausola di apertura ad ogni altro mezzo di pubblicità ha largamente esteso l’ambito applicativo della norma in esame, fino a ricomprendere le condotte diffamatorie eseguite attraverso l’utilizzo di strumenti informatici telematici che ledano l’immagine e la reputazione di un individuo con un numero potenzialmente illimitato di utenti (cfr. SS. UU. Pen., 22 Luglio 2015, n. 32243).
Pertanto, la diffamazione perpetrata attraverso internet deve sempre considerarsi aggravata per l’elevato potenziale lesivo della notizia, dovuto in maggior parte dalla possibile diffusione incontrollata dell’informazione giornalistica; infatti, il bene tutelato dall’art. 595 c.p. è costituito dalla reputazione del singolo, che non può subire restrizioni se non in funzione di diritti fondamentali di pari rango.
Il diritto all’immagine di cui all’art. 2 Cost. deve quindi contemperarsi con il diritto di cronaca, da intendersi quale espressione del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero di cui all’art. 21 Cost. La Giurisprudenza di legittimità ha però differenziato il concetto di onore da quello di reputazione, ritenendo che solo il pregiudizio del secondo -inteso quale sentimento collettivo e sociale del valore di una determinata persona- sia punibile ai sensi dell’art. 595 c.p.
L’elemento oggettivo del reato di diffamazione consiste quindi nella comunicazione a più persone di fatti determinati o di valutazioni e/o giudizi offensivi (che non siano direttamente ricollegabili ad eventi specifici, ed in tal caso si parla di diffamazione generica), attribuiti ai danni di un individuo che non sia presente al momento dell’offesa.
Gli elementi costitutivi della fattispecie delittuosa variano però a seconda dello strumento comunicativo utilizzato per la diffusione della notizia diffamatoria.
La testata giornalistica on-line e il Blog
La condotta diffamatoria può essere integrata attraverso la pubblicazione di notizie offensive o comunque lesive dell’altrui reputazione su giornali online. Come già anticipato, l’elemento della necessaria conoscibilità ad un numero indeterminato di persone dell’informazione deve in tali ipotesi considerarsi in re ipsa, in quanto la condivisione di una notizia sul web presuppone che essa possa raggiungere un numero potenzialmente illimitato di lettori (cfr. Cassazione penale, Sez. 5, n. 40980 del 16/11/2012).
A tal proposito, la Giurisprudenza di legittimità ha correttamente ritenuto di dover distinguere la responsabilità del giornalista autore dell’articolo (o della notizia genericamente intesa) da quella del Direttore della testata telematica: se nel primo caso il proprietario dell’opera intellettuale dovrà rispondere del reato di diffamazione aggravata di cui al terzo comma dell’art. 595 c.p. (qualora ovviamente ne sussistano i presupposti di legge), la condotta del Direttore potrebbe invero integrare il reato di cui all’art. 57 c.p. (Reati commessi col mezzo della stampa periodica).
Tuttavia, ai fini dell’applicabilità della disciplina ex art. 57 c.p. occorre innanzitutto verificare se il direttore de quo sia equiparabile al soggetto agente previsto dalla norma. La dizione dell’articolo in esame richiama espressamente le ipotesi di omissione di controllo nell’ambito della stampa periodica; il chiaro riferimento alla carta stampata esclude, in ossequio al divieto di interpretazione analogica della materia penale, che tale norma incriminatrice possa applicarsi anche a chi eserciti l’attività di controllo e direzione in giornali online. A supporto di tale tesi si evidenzia la definizione normativa di “stampa o stampato”: a norma dell’art. 1 L. 8 febbraio 1948, n. 47 “Sono considerate stampe o stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione”.
Alle medesime conclusioni è altresì giunta la Giurisprudenza di legittimità, che in diverse pronunce ha riconosciuto l’inapplicabilità dell’art. 57 c.p. alle condotte -seppur omissive- dei direttori o vice direttori di testate giornalistiche telematiche, sia per l’impossibilità di estenderne in via analogica l’ambito applicativo, sia “per l’oggettiva impossibilità del direttore responsabile di rispettare il precetto normativo, il che comporterebbe la sua punizione a titolo di responsabilità oggettiva, dato che verrebbe meno non solo il necessario collegamento psichico tra la condotta del soggetto astrattamente punibile e l’evento verificatosi, ma lo stesso nesso causale” (Cass. Pen.,28 ottobre 2011, n. 44126).
Parimenti da escludersi è la responsabilità del gestore di un blog (cd. blogger). Il blog può essere definito come un diario telematico, nel quale il blogger inserisce con cadenza variabile pensieri, opinioni e simili e in relazione ai quali gli utenti possono interagire, attraverso commenti o osservazioni. Il gestore di un blog non è però dotato di alcun potere di controllo o di verifica sulle frasi offensive eventualmente postate dai suoi visitatori, pertanto non si ritiene possibile estendere la disciplina prevista dall’art. 57 c.p. anche a questa nuova figura. In realtà, l’esclusione del blogger dall’ambito di operatività dei reati commessi tramite la stampa periodica deve ricondursi alle medesime motivazioni valevoli per il direttore di un giornale telematico: il divieto di analogia penale non permette l’estensione analogica di una norma incriminatrice che preveda espressamente i soggetti cui sia destinata.
I social networks
Un discorso a parte meritano i social networks. Essi non sono equiparabili ad alcun mezzo di informazione, pertanto chiunque pubblichi a proprio nome contenuti aventi carattere diffamatorio non potrà invocare in suo favore l’esimente del diritto di cronaca e dovrà quindi rispondere penalmente delle proprie azioni.
A dispetto di qualche dubbio interpretativo iniziale, nel 2014 la Suprema Corte di Cassazione con una sentenza storica sull’argomento ha chiarito che le offese perpetrate attraverso i social networks (Facebook) siano sempre riconducibili alla fattispecie aggravata di diffamazione ai sensi del terzo comma dell’art. 595 c.p., in quanto immediatamente accessibili e conoscibili da una moltitudine indeterminata di soggetti (Cass. Pen., sent. n. 12761/14). La giurisprudenza ha voluto delimitare chiaramente i confini della libertà di espressione sulle piattaforme telematiche, alla luce dell’alto potenziale lesivo che tali strumenti possono esercitare in danno dell’immagine e della reputazione del singolo utente.